Vitalismo

corrente di pensiero che esalta la vita
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Il vitalismo è una corrente di pensiero che esalta la vita intesa principalmente come forza vitale energetica e fenomeno spirituale, al di là del suo aspetto biologico materiale.

Raffigurazione di Venere, principio della vita e della fertilità che nasce dall'acqua

Principi

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Il vitalismo ritiene che i fenomeni della vita, costituiti da una "forza" particolare, non siano riconducibili interamente a fenomeni chimici, ed in particolare che vi è una netta demarcazione tra l'organico e l'inorganico, che la vita sulla terra ha avuto un'origine divina e non solo da un'evoluzione risalente a circa 3800 milioni di anni fa, come sostengono i biologi contemporanei.

Il vitalismo può essere anche inteso, nell'ottica nietzschiana e dannunziana, come l'esaltazione della vita senza limiti né freni ideologici o morali, come la ricerca del godimento (dionisiaco), come la celebrazione dell'istinto e di quella volontà di potenza che apparterrebbe solo a pochi eletti, i quali sanno imporre il proprio comando sui più deboli. Questa forza può così rigenerare un mondo che Nietzsche e D'Annunzio ritengono esausto.
In una tale ottica l'evoluzionismo non sarebbe in contrasto col vitalismo, ma darebbe anzi la conferma che la natura si serve della selezione naturale al fine di perpetuare la propria volontà di vivere attraverso la sopravvivenza dei migliori.[1] A differenza del vitalismo dannunziano, che nelle sue manifestazioni racchiude molti degli elementi tipici dell'estetismo decadente, il vitalismo nietzschiano va considerato anche nella sua accezione dionisiaca di accettazione tragica della vita, di un'accettazione tout court della vita, finanche nei suoi aspetti più truci e sofferenti.

 
Bambino nel grembo materno disegnato da Leonardo da Vinci (1511 circa)[2]

Pur con radici antiche, il vitalismo si è sviluppato come sistema teorico tra la metà del Settecento e la metà dell'Ottocento. Si tratta di una concezione ereditata in gran parte dal neoplatonismo e dalla filosofia rinascimentale, secondo cui le idee platoniche, oltre a trascendere il mondo, sono anche immanenti alla natura, diventando la ragione costitutiva dei singoli organismi e di tutto ciò che esiste. Il cosmo, in quest'ottica, risulta animato da un principio intelligente, veicolato in esso da una comune e universale Anima del mondo.[3] Se Leibniz proseguì sulla stessa lunghezza d'onda, attribuendo vita e capacità di pensiero anche alla materia inerte, e schierandosi contro il meccanicismo di Cartesio e degli empiristi,[4] Schelling vedeva invece nel vitalismo una concezione irrazionale e perciò da scartare, in quanto affine al noumeno kantiano, preferendo piuttosto parlare di evoluzionismo finalistico: questo era da lui concepito agli antipodi sia del vitalismo, ma anche del determinismo meccanico, che è incapace di cogliere la profonda unità che pervade la natura, riducendola ad un assemblaggio di singole parti.[5]

Dopo aver trovato espressione anche nella poetica di Giacomo Leopardi,[6] il vitalismo riemerse nel Novecento con Bergson, il quale, in una rinnovata polemica contro il determinismo e il materialismo, torna ad affermare che la vita biologica, come del resto la coscienza, non è un semplice aggregato di elementi composti che si riproduce in maniera sempre uguale a se stessa. La vita invece è una continua e incessante creazione che nasce da un principio assolutamente semplice, non rieseguibile deliberatamente, né componibile a partire da nient'altro.[7]

Tentativi di spiegazione in laboratorio

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(DE)

«Wer will was Lebendiges erkennen und beschreiben,
Sucht erst den Geist heraus zu treiben,
Dann hat er die Teile in seiner Hand,
Fehlt, leider! nur das geistige Band.
Encheiresin naturae nennt's die Chemie,
Spottet ihrer selbst und weiß nicht wie.»

(IT)

«Per capire e descrivere una realtà vivente,
si cerca sempre innanzitutto di cavarne la vita;
allora si ha la mano piena di frammenti inerti,
a cui manca solo - purtroppo - il nesso della vita.
La chimica le dà il nome di encheiresin naturae:[8]
si burla di se stessa e nemmeno se ne avvede.»

 
Figure di omuncoli disegnate da Antonio Vallisnieri (1721), ritenuti i semi in grado di operare la generazione dell'uomo

Dal punto di vista biologico ci sono stati diversi tentativi di costruire la vita in laboratorio partendo da basi il più possibile scientifiche, per cercare di ridurre gli aspetti maggiormente irrazionali della concezione della vita, o per poterne dare delle spiegazioni quantomeno plausibili. I più importanti sviluppi della biochimica e dell'ingegneria genetica sono stati i seguenti:

Si tratta però, allo stato, di procedimenti meramente meccanici, che nulla dicono sul perché un certo composto dovrebbe dare la vita a differenza di un altro. Tali esperimenti si limitano a rieseguire in laboratorio i procedimenti naturali di generazione della vita, senza che questi siano compresi a fondo; proprio perché ne sono un'imitazione, tali procedimenti sembrano non differire qualitativamente da quelli operanti in natura.

Secondo il paleontologo Teilhard de Chardin, che studiando la storia dell'evoluzione della Terra elaborò la cosiddetta legge di complessità e coscienza, esiste all'interno della materia una tendenza a diventare maggiormente complessa e al tempo stesso ad accrescere una propria coscienza, passando dallo stato inanimato a quello via via più evoluto. La coscienza sarebbe dunque il fine nascosto a cui tendono le leggi della natura, e che potrebbe essere in grado di spiegarle.[9] Il biologo e filosofo Hans Driesch ricorse al termine aristotelico entelechia per designare questa forza vitale in grado di strutturare la materia organica secondo leggi immateriali.[10]

Il desiderio di costruire la vita totalmente al di fuori delle vie naturali ricorre invece soprattutto nella fantascienza; a questo filone appartiene ad esempio il romanzo Frankenstein di Mary Wollstonecraft Shelley del 1818.

  1. ^ L'esaltazione della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele D'Annunzio, cit. in bibliografia.
  2. ^ Dettaglio dal codice Windsor sugli studi sugli embrioni.
  3. ^ Concetto già espresso da Platone, il quale, richiamandosi alla tradizione dell'ilozoismo arcaico, sosteneva che il mondo è una sorta di grande animale, supportato da una «Grande Anima» infusagli dal Demiurgo, che impregna il cosmo e gli dà vitalità generale (Timeo, 34 b).
  4. ^ Leibniz, Monadologia, 1714.
  5. ^ Schelling, Bruno, ovvero il principio divino e naturale delle cose (1802), dove egli recupera il concetto neoplatonico di Weltseele o «Anima del mondo».
  6. ^ Gaetano Macchiaroli, Giacomo Leopardi, Napoli, Biblioteca Nazionale, 1987, p. 371.
  7. ^ Bergson, L'Evolution créatrice, 1907.
  8. ^ Espressione composta da un termine greco all'accusativo (encheiresin) ed uno latino, che significa letteralmente «manipolazione della natura», con cui in ambito accademico si indicava l'assemblaggio di componenti biologiche nel tentativo di formare un organismo vivente (Hugo Von Hofmannsthal, The Whole Difference: Selected Writings of Hugo von Hofmannsthal, pag. 499, a cura di J.D. McClatchy, Princeton University Press, 2008).
  9. ^ Pierre Teilhard de Chardin, L'avvenire dell'uomo [1959], Il Saggiatore, Milano 1972.
  10. ^ Dizionario di filosofia Treccani.

Bibliografia

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  • Luigino Zarmati, Il vitalismo. L'esaltazione della vita nell'opera di Friedrich Nietzsche e di Gabriele D'Annunzio, Leonardo da Vinci editore, 2001 ISBN 8888926011.
  • Gertrud Hvidberg-hansen, The Spirit of Vitalism, Intl Specialized Book Service Inc, 2010 ISBN 8763531348.
  • Lelia Pozzi D'Amico, Medicina e metafisica, Nuovi Autori, 2008 ISBN 8875683301.
  • Enrico Marabini, La singolarità dei sistemi animati. Riflessioni e confutazioni sul problema del neovitalismo, Il Pavone, 2008. ISBN 8895299329.
  • Georges Canguilhem, La conoscenza della vita, prefazione di Antonio Santucci, Il Mulino, 1976.
  • Scott Lash, Life (Vitalism), Theory, Culture and Society, 23.2-3 (2006).

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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