Assedio di Aquileia (238)

L'assedio di Aquileia del 238 costituì la fase finale del regno di Massimino il Trace, il quale giunto in Italia con le armate pannoniche, fu qui fermato dalla popolazione locale,[1] arroccata nella quarta città imperiale per numero di abitanti, prima che giungesse a Roma. La fame a cui fu ridotta la sua armata, portarono ad una rivolta interna tra le sue truppe ed alla morte dell'Imperatore romano che, con la morte di Alessandro Severo, aveva posto fine alla dinastia dei Severi ed all'inizio del periodo dell'anarchia militare.

Assedio di Aquileia (238)
parte delle Anarchia militare
L'antica città romana di Aquileia nel suo sviluppo: dal primo periodo repubblicano (con le mura del castrum legionario quadrangolare in rosa più scuro); a quello successivo dopo la vittoria sui Cimbri con le mura costruite nel 100 a.C.; fino alla città alto imperiale (con le mura costruite nel periodo compreso tra l'imperatore Marco Aurelio e Massimino Trace); il periodo tetrarchico, in rosa più chiaro.
Dataaprile - maggio 238
LuogoAquileia
EsitoFine assedio e morte di Massimino il Trace
Schieramenti
Armate pannoniche imperialiAbitanti di Aquileia
(fedeli al Senato di Roma)
Comandanti
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Contesto storico

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Anarchia militare.

Morti i due Gordiani, dopo il fallimento della rivolta in Africa contro il potere imperiale di Massimino il Trace, in odio al Senato di Roma, i senatori decisero di continuare la resistenza eleggendo co-imperatori ed Augusti due di loro, Pupieno (che era stato praefectus urbi) e Balbino[2][3] (tardo aprile, inizi di maggio 238). Tuttavia una fazione a Roma preferì il nipote di Gordiano I, Gordiano III, tanto che ci furono duri combattimenti nelle strade di Roma: Balbino e Pupieno accettarono, allora, di proclamare il giovane Gordiano Cesare.[4][5]

I tre avversari di Massimino potevano contare su milizie formate da coscritti e da gruppi di giovani, mentre l'imperatore aveva a propria disposizione un grande esercito che veniva da anni di guerre. Massimino, avendo ormai capito, che l'odio che il Senato di Roma aveva nei suoi confronti «non avrebbe avuto più fine»,[6] decise di marciare rapidamente su Roma per spazzare via i suoi oppositori.[7] Non considerò, però, le difficoltà connesse con l'attraversamento delle Alpi alla fine dell'inverno e il suo esercito fu rallentato dalla guerriglia messa in atto dai difensori in Italia settentrionale.[4][8]

Erodiano ci racconta dell'ordine di marcia dell'armata che attraversò le Alpi e scese nella piana di Aquileia con un ordine di marcia a forma di grande rettangolo, al fine di occupare la maggior parte della pianura sottostante, ponendo il bagaglio pesante, gli approvvigionamenti ed i carri al centro della formazione, prendendo lui stesso il comando della retroguardia, al seguito del grosso della sua armata.[9] Su ogni fianco marciavano gli squadroni di cavalleria, truppe di Mauri armati di giavellotto e gli arcieri orientali. L'imperatore condusse, inoltre, con sé anche un consistente numero di ausiliari germani, i quali furono posti all'avanguardia, per sopportare gli assalti iniziali del nemico. Questi uomini estremamente selvaggi e audaci, risultavano molto abili nelle fasi iniziali della battaglia e, comunque, sacrificabili. Certamente meglio loro che le legioni.[10]

Giunto in prossimità di Emona,[11] pensava di trovarvi un esercito pronto a combatterlo, e invece, scoprì che tutti gli abitanti della regione si erano ritirati in città, portando via tutto ciò che poteva fornire vettovagliamento per il nemico, in modo che Massimino ed il suo esercito si trovassero ridotti alla fame.[12] Ciò generò i primi malcontenti tra i suoi soldati, inizialmente contenuti in silenzio, poi sfociati in odio aperto verso il loro comandante.[13] Molti affermano che Massimino trovò invece Emona, vuota e priva di ogni genere alimentare, poiché ogni cosa era stata distrutta preventivamente dagli abitanti, che poi avevano abbandonato la città.[14] Stoltamente Massimino se ne rallegrò, credendo che l'intera popolazione fosse fuggita al suo arrivo. Dopo aver soggiornato una notte, si rimise in marcia e passò le Alpi,[15] senza incontrare alcuna opposizione.[16]

Assedio

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio (storia romana).

Quando l'esercito di Massimino giunse in vista di Aquileia, posta all'incrocio di importanti vie di comunicazione e deposito dei viveri e dell'equipaggiamento necessari ai soldati, la città chiuse le porte all'imperatore,[17] guidata da due senatori incaricati dal Senato, Rutilio Pudente Crispino e Tullio Menofilo, i quali disposero molti uomini armati lungo l'intero percorso delle mura,[18] che nel frattempo erano state rinforzate e dotate di nuove torri.[19] Erodiano racconta che il primo attacco alle mura della città fu respinto:

«[...] le legioni pannoniche, che erano state inviate come avanguardia ed avevano lanciato il primo imponente attacco lungo le mura della città, nonostante i frequenti assalti, avevano fallito completamente. Infine, una pioggia di pietre, lance e frecce, avevano costretto le legioni pannoniche a desistere ed a ritirarsi. I generali pannonici erano infuriati con le loro truppe, ritenendo avessero combattuto troppo debolmente. Massimino, allora, si affrettò a raggiungere la città con il resto del suo esercito, in attesa di occuparla, senza alcuna difficoltà.»

Massimino prese allora una decisione fatale: invece di scendere rapidamente sulla capitale con le sue armate, mise personalmente sotto assedio la città di Aquileia, permettendo ai suoi avversari di organizzarsi: Pupieno, a cui era stata affidata la conduzione della guerra[20] (mentre Balbino era preposto alla difesa di Roma[21]), raggiunse infatti Ravenna,[22] da cui diresse la difesa della città assediata.[4][23][24]

Sebbene il rapporto di forze fosse ancora a vantaggio di Massimino, l'assedio si protraeva ormai senza alcun risultato, poiché gli abitanti di Aquileia avevano fatto abbondanti scorte di viveri prima che sopraggiungessero le armate imperiali (disponendo anche di numerosi pozzi d'acqua all'interno della città).[25] Neppure un segnale di cedimento, poi rientrato, da parte della popolazione della città ad arrendersi,[26] aveva minato lo spirito di resistenza degli Aquileiensi, grazie soprattutto al senatore Crispino:[27]

«Poiché l'assedio si protraeva senza alcun risultato, Massimino inviò nella città degli ambasciatori. E la popolazione di Aquileia stava quasi per accettare le loro proposte, se Tullio Menofilo ed il suo collega non si fossero opposti, affermando che anche il dio Beleno, aveva dato tramite gli aruspici, il responso che Massimino sarebbe stato sconfitto.[28]»

«Quando fu riferito a Massimino che Aquileia era ben difesa e difficilmente espugnabile, egli credette opportuno inviare degli ambasciatori per discutere una possibile resa con gli abitanti, ai piedi delle mura, cercando di persuaderli ad aprire le loro porte cittadine. Tra gli assedianti vi era un tribuno militare che era nativo di Aquileia, e la cui moglie, i figli ed i parenti si trovavano tutti all'interno della città. Massimino decise cos'ì di inviare quest'uomo nei pressi delle mura, accompagnato da alcuni centurioni, aspettandosi di far breccia facilmente nei suoi concittadini. Gli inviati dissero agli Aquileiensi che Massimino, l'Imperatore di entrambi, ordinava loro di deporre le armi in pace, di riceverlo come un amico, non come un nemico, e di fare sacrifici per lui. Il loro imperatore ordinava loro di non trascurare il fatto che la loro città natale era in pericolo di essere distrutta fino alle fondamenta, mentre era in loro potere salvarsi e preservare la loro città, poiché il loro imperatore misericordioso li avrebbe perdonati per i loro crimini. Altri, non loro, erano i veri colpevoli. [...] Temendo che il popolo, convinto da queste false parole, potesse scegliere la pace invece della guerra e spalancare le porte [a Massimino], [il senatore] Crispino correva lungo il parapetto, supplicando gli Aquileiensi di resistere con coraggio e dando prova di una dura resistenza. Li pregò di non rompere il patto fatto con il Senato ed il Popolo di Roma, affinché vincessero e diventassero i salvatori e difensori di tutta l'Italia. Egli li avvertì di non fidarsi delle promesse di un tiranno, bugiardo e ipocrita, e di non cedere alla distruzione certa, cullati da dolci parole, quando al contrario potevano giocarsela con il risultato sempre imprevedibile della guerra. [...] Proseguiva dicendo loro che in passato pochi hanno prevalso su molti, e che quelli che sembravano più deboli hanno battuto quelli che sembravano più forti. E non dovevano essere spaventati dalle dimensioni dell'esercito assediante. "Coloro che lottano per conto di qualcun altro - disse - sapendo che i benefici alla fine non saranno loro, ma di colui per cui combattono, saranno meno desiderosi di dare battaglia, sapendo che, mentre ne condividono i rischi, un altro raccoglierà i grandi premi della vittoria. Coloro poi che combattono per la patria, ricevono un maggior favore dagli dèi, poiché non pregano per ottenere le proprietà di altri, al contrario chiedono solo di poter essere sicuri di ciò che già possiedono. Essi mostrano un furore per la battaglia, che non risulta invece tra coloro che ricevono gli ordini da un altro, se non da un impulso interiore, dato che tutti i frutti della vittoria appartengono a loro stessi".»

 
Busto bronzeo forse di Massimino il Trace, il quale trovò la morte presso la città di Aquileia (Museo archeologico cittadino).

Quando gli inviati fecero ritorno all'accampamento di Massimino senza successo, quest'ultimo, furibondo, si spinse con maggiore velocità verso la città. Ma quando arrivò a un grande fiume, a sedici miglia da Aquileia, trovò che era molto ampio e profondo (l'Isonzo).[29] Erodiano aggiunge che gli Aquileiensi avevano distrutto tutti i ponti e che il caldo di quella primavera aveva sciolto i ghiacci delle vicine montagne, tanto che i fiumi erano in piena.[30] Massimino, allora, provò a far guadare il fiume dai suoi ausiliari germani, ma molti di loro annegarono travolti dalla corrente delle rapide.[31] Poi messo insieme un ponte servendosi delle botti per spedire il vino (utilizzate dagli abitanti della zona), attraversò il fiume e cominciò ad assediare Aquileia dalle immediate vicinanze, con ogni genere di macchine d'assedio. Gli Aquileiensi, da parte loro, si difendevano con ogni mezzo, grazie anche all'aiuto di donne, bambini e vecchi, che davano una mano per ciò che potevano.[32]

«Tutti gli edifici dei sobborghi, fuori dalle porte della città, furono demoliti dalle armate di Massimino. Il legno dalle case fu utilizzato per costruire le macchine d'assedio. I soldati fecero ogni sforzo per distruggere una parte del muro, in modo che l'esercito potesse introdursi e occupare la città, radendola poi al suolo, lasciando che l'area [dove sorgeva la città] risultasse come un territorio deserto da pascolo. Il viaggio a Roma non sarebbe stato glorioso, se Massimino non fosse riuscito a catturare la prima città in Italia che si era opoosta a lui.»

Nel pieno della battaglia Massimino, insieme al figlio Gaio Giulio Vero Massimo, a cui era stato conferito il titolo Cesare, spronarono l'esercito all'attacco, cavalcando attorno alle mura e tenendosi a distanza di sicurezza dal tiro avversario, lanciando ora comandi ai suoi e ora inveendo contro la popolazione locale.[33] Ma ciò non portò a nulla.[34] Gli Aquileiensi, allora, cominciarono a scagliare sugli assedianti pietre incendiarie ricoperte di pece e olio d'oliva, versando sopra i loro aggressori un liquido bollente composto da bitume e zolfo, utilizzando una serie di lunghi manici. Questo liquido infuocato veniva portato in alto sulle mura, e poi riversato dall'alto sui soldati che assediavano la città, quasi fosse una pioggia di fuoco.[35]

«Si ebbe quindi un violento assalto e la situazione divenne critica, poiché i cittadini si difendevano dagli attacchi dei soldati con zolfo, oggetti infuocati ed altro similare mezzo di difesa. Molti soldati si vedevano privati delle armi, altri si trovavano con gli indumenti incendiati, altri erano accecati dal fumo, e molte macchine d'assedio furono distrutte.»

Molti dei soldati di Massimino perirono, per le gravi ustioni, sfigurati dalle fiamme, spesso estratti a forza dalle loro corazze di metallo rovente. Gli Aquileiensi contemporaneamente scagliavano frecce incendiarie che si conficcavano nelle macchine d'assedio avversarie, ormai prossime alle mura della città, riuscendo a demolirne molte, consumate dalle fiamme.[36]

Alla fine, la penuria di viveri dell'armata romana, la continua esposizione ai fenomeni atmosferici (sole e pioggia),[37] la rigida disciplina imposta dall'imperatore, i continui successi degli Aquileiensi (che potevano invece disporre di abbondanti riserve idriche e di cibo), la politica della "terra bruciata" adottata dal Senato di Roma tutt'attorno ad Aquileia (ponendo di fatto l'esercito assediante sotto assedio),[38] oltre alla rabbia di Massimino, incapace di assaltare in modo risolutivo le mura della città,[39] causarono l'ostilità delle truppe stesse verso l'imperatore, e la conseguente rivolta.[40]

«[...] i soldati di Massimino, a quanto si dice, sostenevano che Apollo stava combattendo contro di loro, e che non si trattava di una vittoria di Massimo o del Senato romano, ma degli dei.»

«A questo punto Massimino, ritenendo che la guerra fosse ancora lunga, a causa dell'inerzia dei suoi generali, mise a morte i suoi generali, nel momento meno opportuno. Ciò generò un aumento del malcontento tra i suoi soldati. A questo va aggiunto che si trovava ormai privo di approvvigionamenti, visto che il Senato aveva inviato a tutte le province, compresi i custodi dei magazzini portuali, l'ordine di che nessun tipo di rifornimento cadesse nelle mani di Massimino.»

E sempre il Senato aveva inviato, ex-pretori ed ex-questori, in tutte le città, per predisporre ovunque misure di sicurezza atte a difendere ogni cosa da possibili attacchi di Massimino,[41] tanto che quest'ultimo si trovò nella posizione critica di essere egli stesso assediato,[42] con l'intero mondo romano ostile.[43]

I soldati della Legio II Parthica (solitamente di stanza nei castra Albana), presi dal timore, verso mezzogiorno, durante un momento di pausa del combattimento, strapparono le sue immagini dalle insegne militari, per segnalarne la deposizione, poi lo assassinarono nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo, mentre i due erano coricati sotto la tenda (10 maggio 238). Insieme a loro anche i più stretti collaboratori perirono.[23][44][45] Poi infilate le loro teste in cima a delle picche, ne fecero mostra agli Aquileiensi, mentre i loro corpi furono esposti a cani e uccelli.[46]

Secondo invece la versione di Zosimo, una volta che Massimino si accorse di essere in grave pericolo per la sua vita:

«[...] Massimino, condusse il proprio figlio come supplice, davanti ai soldati, pensando che la sua giovane età sarebbe stata sufficiente a cambiare il loro odio in compassione. Ma i soldati assassinarono con grande ferocia sia il ragazzo, sia subito dopo Massimino. Uno di loro si fece avanti e gli staccò la testa [di Massimino] e la portò a Roma, come evidente segno di vittoria.»

Conseguenze

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Balbino: sesterzio[47]
 
IMP CAES(ar) D CAEL BALBINUS AVG, testa verso destra con alloro sul capo, corazza e drappeggio sulle spalle; VICTORIA AUGG(ustorum), la Vittoria in piedi verso sinistra, tiene una corona ed un ramo di palma.
coniato nel 238 dopo la morte di Massimino il Trace (30 mm, 22.56 gr, 1 h; zecca di Roma antica, prima emissione).
  Lo stesso argomento in dettaglio: Anarchia militare.

Quando i soldati seppero della morte di Massimino, alcuni di loro rimasero attoniti. Ecco come ci racconta Erodiano del dopo-morte dell'imperatore Massimino Trace:

«[...] non significa che tutte le truppe erano contente dell'assassinio. Le legioni pannoniche e gli ausiliari della Tracia erano particolarmente arrabbiati, perché questi erano gli uomini che avevano effettivamente messo l'impero nelle mani di Massimino. Ma poiché il fatto era ormai compiuto, lo tollerarono a malincuore, non avendo altra scelta che quella di fingere di essere contenti di tutto ciò che ormai era accaduto.»

«Non si deve dimenticare che tanto grande fu la fedeltà degli Aquileiensi verso il Senato nella lotta contro Massimino che, mancando i nervi degli archi per tirare le frecce, fecero delle corde con i capelli delle loro donne. Ciò si dice fosse accaduto anche a Roma, tanto che il Senato consacrò, in onore delle matrone, in tempio a Venere Calva.»

Poi, i soldati, dopo aver deposto le loro armi, si avvicinarono alle mura di Aquileia, questa volta in pace, aspettandosi che gli abitanti di Aquileia aprissero loro le porte e gli accogliessero in amicizia. I generali di Aquileia, tuttavia, preferirono mantenere le porte chiuse, mostrando loro le statue dei tre nuovi imperatori, Pupieno, Balbino e Gordiano III Cesare, appladudendoli e chiedendo che gli ex-soldati di Massimino gridassero anch'essi la loro approvazione agli imperatori scelti dal Senato e dal popolo romano.[48] Subito dopo disposero un mercato per i soldati, sotto le mura, e misero in vendita i beni di loro produzione, che comprendevano ampie disponibilità di cibo, bevande, abbigliamento e scarpe.[49] Abitanti e soldati si riconciliarono, sebbene la situazione dei giorni successivi mostrò un esercito ancora accampato attorno alle mura di Aquiliea, quasi fosse ancora in procinto di assediarla.[50]

A Roma, intanto, vennero subito abbattute le sue statue ed i suoi busti, mentre il suo prefetto del pretorio fu assassinato assieme ad altri suoi amici. Poi le teste dei due ex-sovrani, padre e figlio, furono inviate nell'Urbe,[51] mentre i loro corpi furono mutilati e dati in pasto ai cani, una poena post mortem.[52] Il Senato elesse imperatore il tredicenne Gordiano III[53] e ordinò la damnatio memoriae per Massimino.[54]

«Questa fu la fine dei Massimini, degna della crudeltà del padre, ma ingiusta nei confronti della bontà del figlio. La loro morte suscitò grande gioia tra i provinciali, e profondo dolore tra i barbari.»

I soldati romani, privi ora del loro comandante ed Imperatore, furono accolti in città dagli Aquileiensi, prima di tutto a condizione che facessero atto di adorazione davanti alle immagini di Pupieno, Balbino e Gordiano III, mentre tutti proclamavano che i primi due Gordiani erano stati assunti tra gli dei.[55] Poi distribuirono ai soldati affamati ed assetati, una grande quantità di cibo e bevande, dopo averne ricevuto il giusto e dovuto pagamento; il giorno seguente fu convocata un'assemblea generale, dove tutti i soldati prestarono solenne giuramento di fedeltà ai nuovi tre sovrani.[56]

  1. ^ Zosimo, Storia nuova, I, 15.1.
  2. ^ Sesto Aurelio Vittore, De Caesaribus, 26.7.
  3. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 20.1.
  4. ^ a b c Bowman, p. 32.
  5. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 20.2-3.
  6. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 20.8.
  7. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VII, 12.7-8.
  8. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.1.
  9. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.2.
  10. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.3.
  11. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.1.
  12. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.2-3.
  13. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.4.
  14. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.4.
  15. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.5; Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 1.5-6.
  16. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 2.1.
  17. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 2.2-3.
  18. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 21.6.
  19. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 2.5.
  20. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 20.4-5.
  21. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 20.6.
  22. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 24.5; Historia Augusta - I due Massimini, 33.3.
  23. ^ a b Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, IX, 1.
  24. ^ Sesto Aurelio Vittore, De Caesaribus, 27.4.
  25. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 2.6.
  26. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.1.
  27. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 3.1-7.
  28. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 3.8-9.
  29. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.1.
  30. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.2.
  31. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.3.
  32. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.4; Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.4-7.
  33. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.6.
  34. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 22.7.
  35. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.9.
  36. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 4.10.
  37. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.4.
  38. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.5.
  39. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.1-3.
  40. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.6-8.
  41. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.3; Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.5
  42. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.4.
  43. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.5.
  44. ^ Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 25.2; Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.8.
  45. ^ Bowman, p. 33.
  46. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.6; Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.9.
  47. ^ RIC Balbinus, IV 25; BMCRE 40-1; Banti 9.
  48. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 6.2.
  49. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 6.3.
  50. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 6.4.
  51. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 23.7.
  52. ^ Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, VIII, 5.9.
  53. ^ Aurelio Vittore, De Caesaribus, 27.6.
  54. ^ Per l'iconografia e le mutilazioni dei ritratti di Massimino Trace e di suo figlio Massimo si veda Varner, Eric, Mutilation and Transformation, BRILL, 2004, ISBN 90-04-13577-4, pp. 200-203.
  55. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 24.2.
  56. ^ Historia Augusta - I due Massimini, 24.3.

Bibliografia

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Fonti primarie
Fonti secondarie